Mostra "Spore"

Nella scala semantica, la fotografia si conferma linguaggio universale, in grado, cioè, di essere compreso e applicato da una moltitudine di persone, ad ogni latitudine geografica e intellettuale.
Il volume miliardario di scatti, che quotidianamente si consuma sul pianeta, indica come la fotografia non debba essere intesa solo quale manifestazione visiva della realtà culturale dell’uomo, bensì, fenomeno comunicativo di massa, all’interno del quale si modellano linguaggio e comportamento.
Che una parte di questa imponente produzione grafica, valga niente, vuoi sotto il profilo della sintassi compositiva, che della ricerca contenutistica, poco importa. Giova, invece, rilevare la dimensione enorme di questo mercato dell’immagine. Segno che attraverso esso le persone, realizzano, in un transfert mediatico, il loro bisogno partecipativo agli eventi della scena. Non è il contenuto o il significato della ripresa, che conta, ma la dichiarazione di presenza a quella rappresentazione. In quel gesto, si condensa il possesso dell’attimo , si appaga l’ansia che pervade la consapevolezza della sua breve esistenza, si esorcizza la solitudine che circonda il tempo, di chi ha rinunciato alla propria libertà, perché incapace di organizzare un pensiero autonomo, che lo porti a oltrepassare la sindrome della depressione collettiva.
Nel turbine iconografico che produce la vicenda generale, operare un fermo immagine, degno di attenzione e di critica, non è compito semplice, nel flusso di scorrimento dei files. Eppure, se ci viene ancora di trattenere il respiro, per sentire la pioggia sulla strada, o di contare i tacchi di una donna che sta arrivando, se consideriamo tutto questo non il fuggevole inganno di un momento, ma l’emozione naturale di un attimo irripetibile che ci appartiene, vuol dire che siamo ancora vivi, capaci di emozionarci. Allora, sarà spontaneo sentirsi attratti dalle immagini di un fotografo che non alza la voce, che non insegue stupori, attraverso i quali apparire, in un formato possibilmente visibile.
Nilo Capretti, appartiene a quella schiera di fotografi che ricorre alla tecnologia della macchina in aderenza alla sua sensibilità di artista. Usa lo spartito fotografico con sorprendente normalità, per depositarvi armonie sottili, che rimangono dentro, generando emozioni e pensieri, che divengono partiture di un viaggio che non è solo del fotografo, ma coinvolgimento intimo anche per l’osservatore. Capretti compone tutto questo, senza bisogno di mete esotiche, senza effetti speciali, ma attraverso la capacità, non comune, di sbucciare la pelle dell’uomo e farci avvicinare a quello che c’è sotto i diversi strati . I temi che affronta, apparentemente distanti, risultano, viceversa, in stretta connessione tra loro e , argomento dopo argomento, ci svelano il suo modo di narrare la realtà. Si tratti di costeggiare l’uomo, in una possibile lettura delle sue inquietudini, si tratti di accostarsi ai depositi di polvere che regnano sugli scaffali della sua anima, si scavi nella fisiognomica di uno sguardo, o si scolpiscano brandelli di manifesto, emblema della fine della grande abbuffata, che Mimmo Rotella ,aveva colto nella fase iniziale, degli anni Settanta, il filo d’Arianna conduce sempre all’uomo. Un uomo consolato da una fede apparente, smarrito tra le vertigini del consumo e la consapevolezza della sua provvisoria sicurezza. Un uomo solo, complice della sua crisi e circondato dai fantasmi del sua fragilità.
L’artista che ha deciso di affrontare questa dimensione,non si afferma solo per le parole che è stato capace di dire, aspetto,non trascurabile, se gli è stato concesso di esprimerle in alcuni musei internazionali, come Tokio o Città del Messico. L’artista continua a percorrere il pianeta in varie direzioni,per ascoltare le parole degli uomini, per raccontarci storie vere.. Un artista, non si raggiunge, consapevole che la verità è sempre oltre il punto dove la sta cercando. Capretti, scava l’immagine , coniando nuovi vocaboli per avvicinarci alle zone inesplorate dell’essere, altrimenti banalizzate, da sperimentalismi senza storia., Sviluppa la sua opera con rigore, per apportare nuovi punti prospettici al racconto della rappresentazione umana e condurre il linguaggio della fotografia verso quella sintesi espressiva che nella percezione collettiva assume il nome di arte.

Vincenzo Mollica

Architetto